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martedì 10 maggio 2016

Robert Curgenven @ O', Milano - 17/05/2016



Diceva Francis Scott Fitzgerald, fra un Gin Rickey e l'altro: "non si scrive per dire qualcosa, si scrive perchè si ha qualcosa da dire". Un aforisma che si può applicare a qualunque campo dell'espressione umana. Quindi, cos'ha da dirci Robert Curgenven, australiano trapiantato in Cornovaglia, con la sua musica? Il suo album più recente, "Climata" (Dragon's Eye, 2016), è un interminabile doppio cd dominato dallo stesso drone analogico, carico di elettricità, che attraversa sei brani lunghi esattamente 19 minuti e 20 secondi ciascuno. Su questo si inseriscono a tratti dei field recording di canti di uccelli, onde del mare, campane, traffico lontano. Ci sono dei crescendo repentini come la volata finale di una corsa di lumache. È a mio parere una rappresentazione di un'attesa ansiosa e impotente, con il drone che interpreta uno stato d'animo, il tempo che si dilata, guardare l'orologio ogni attimo e scoprire, appunto, che è trascorso solo un attimo. Più angoscia che contemplazione quindi, e se l'idea per questo disco è scaturita da una sua inquietudine interiore significa che davvero aveva qualcosa da dirci.

pubblicato in origine su zero.eu

giovedì 21 aprile 2016

Ambarchi & Brinkmann + R/S @ Auditorium San Fedele, Milano - 02/05/2016



Per l'appuntamento conclusivo della rassegna Inner_Spaces ci troviamo di fronte a due duo (lo so, è brutto, ma si dice così) che non è consueto incontrare dalle nostre parti. I primi a esibirsi saranno R/S, nome dietro cui si celano Peter Rehberg e Marcus Schmickler, autori di una sperimentazione elettroacustica dissonante e drammatica, dalle tinte metalliche e sicuramente non di facile ascolto, vista anche la curiosa tendenza (di Rehberg soprattutto) a voler scioccare l'ascoltatore con frequenze insolite e improvvise. Siamo dalle parti del noise, come dimostrano i due album finora pubblicati (One: Snow Mud Rain, nel 2007 per Erstwhile e USA, nel 2011 per PAN). La collaborazione fra Oren Ambarchi e Thomas Brinkmann è quasi una prima assoluta dal vivo, i due hanno prodotto un album (The Mortimer Trap, 2012, Black Truffle) formato da un solo brano di oltre 70 minuti. Un estenuante drone elettronico su cui si sovrappone (ma ci vuole una mezz'ora) una linea di basso dub appena accennata, The Mortimer Trap è un evidente tentativo di ipnotizzare il pubblico per sottometterlo al proprio volere. Ipotizzando atmosfere simili, vi consigliamo di lasciare a casa carte di credito, chiavi della macchina e gli effetti personali di cui siete più gelosi.

pubblicato in origine su zero.eu

mercoledì 6 aprile 2016

Wolf Eyes @ Sacrestia, Milano - 30/04/2016



In quest'epoca in cui la musica registrata ha perso la sua importanza nell'economia di una band (e parlo proprio di economia, denaro), è difficile districarsi nella discografia intricata dei Wolf Eyes. Mi risultano ad oggi 108 album (in 20 anni!), più una quarantina di live e circa 30 ep: certo, molti sono autoproduzioni che trovate solo ai concerti, ma la scelta di inondare il mercato (?) di uscite rende ostico dare un senso al loro percorso. L'ultima pubblicazione per un'etichetta "ufficiale" (la Third Man di Jack White) risale allo scorso anno e sembra un disco storico dei compaesani Stooges reinterpretato tramite kraut e noise; niente male, ma nel 2016 compare "Strange Days" un cd-r dalle atmosfere più dilatate ed elettroniche (pare una passeggiata tra le macerie di una zona industriale devastata), giusto per non far sapere cosa aspettarsi da un loro concerto. Il trio capitanato da Nate Young porta sul palco la storia di Detroit, come la si potrebbe interpretare da una vhs scassata salvata da una discarica, un montaggio random dove convivono istanze rock, noise, elettronica, jazz, industrial e tanto disagio esistenziale.

pubblicato in origine su zero.eu

giovedì 24 marzo 2016

Michel Doneda/Giuseppe Ielasi/Enrico Malatesta @ O', Milano - 21/03/2016



Da un po' di tempo non assistevo a un concerto totalmente acustico (ovvero privo di impianto), certo, i walkman utilizzati da Ielasi sono elettrici, a batteria, dotati di una propria minima amplificazione, ma ci siamo capiti, parlo di impianto fisso, mixer eccetera. Michel Doneda è sassofonista sperimentale, di quel tipo che esplora i limiti estremi del suono, nel suo caso estremi verso il basso, al confine col silenzio. Dal suo sax soprano esce poco più che un soffio, un drone agonizzante. I suoi compagni di avventura si adeguano a questa sua caratteristica: i nastri di Ielasi producono flebili cigolii e lamenti, vengono talvolta distribuiti in giro per la sala per spazializzare il suono (di questo aspetto parleremo dopo); le percussioni di Malatesta, qui ridotte a due tamburelli e qualche oggettino, sono strofinamenti e picchiettare di dita. Un concerto del genere sarebbe impensabile senza la partecipazione attiva del pubblico: stare in silenzio assoluto, non un movimento perchè si sente tutto, richiede un certo impegno. "Partecipazione attiva" per creare il silenzio che diventa tangibile, solido. Sembra un ossimoro ma è ciò che questi musicisti sono riusciti a fare. L'oscurità per l'orecchio. O meglio la sua negazione, il biancore accecante, il rifiuto di tutte le frequenze. Questa è la tela tridimensionale dove si dipanano le costruzioni del trio, quasi una situazione "di laboratorio" irrealizzabile altrove, basterebbero un barista sbadato o le solite chiacchiere a spezzare l'incantesimo. Doneda si muove spesso, i suoi soffi vengono riflessi dagli angoli della stanza, creano un paesaggio sonoro che più mi sforzo di associare a qualcosa di concreto e più trovo astratto. I nastri di Ielasi che provengono da "altri luoghi" gli fanno da controcanto. Il risultato è una scultura effimera e fragilissima, che crollerebbe al primo alito di vento. Musica che viene alla ribalta oggi (in punta di piedi: una cinquantina di spettatori, ma di lunedì) perchè il rumore imperante che ha segnato l'ultimo mezzo secolo ha perso efficacia, si è impantanato nella palude della banalità, non c'è più nulla di davvero "nuovo", mentre il quasi-silenzio di formazioni come questa sussurra molto più forte. Intendiamoci, musica come questa non potrà mai riempire i grandi club (e nemmeno quelli piccoli a dir la verità, non è la sua dimensione, per manifestarsi ha bisogno della tranquillità e della dedizione più assoluta) ma la sua esistenza è preziosa, la sua fragilità una fotografia dello stato in cui versa la musica oggigiorno.

pubblicato in origine su frequencies.eu

martedì 22 marzo 2016

Inner_Spaces: Valerio Tricoli + François Bonnet + Mats Lindström @ Auditorium San Fedele, Milano - 11/04/2016



È ora di svelare il significato del termine "acusmatico": "suono di cui non si vede l'origine". Nell'antica Grecia, gli acusmatici erano gli allievi di Pitagora, che affrontavano un lungo apprendistato in cui dovevano ascoltare in silenzio le lezioni del maestro mentre parlava nascosto da una tenda. Pierre Schaeffer fece proprio questo termine per indicare la musica diffusa tramite altoparlanti e più in generale la musica registrata. Oggi si può dire che solo i concerti di musica rigorosamente acustica non sono acusmatici: tutto il resto passa attraverso un impianto, "non se ne vede l'origine". Quindi potrete pavoneggiarvi dicendo di avere in casa un acusmonium anche se avete solo le casse del computer. L'acusmonium "vero", quello del San Fedele, invece questa volta presenta delle selezioni sonore dagli archivi di due studi che hanno fatto la storia della musica acusmatica, il GRM di Parigi (fondato da Schaeffer) e l'EMS di Stoccolma, a cura rispettivamente di François Bonnet (forse più noto con lo pseudonimo di Kassel Jaeger) e Mats Lindström. Mentre Valerio Tricoli eseguirà Williams Mix Extended, reinterpretazione della composizione di John Cage realizzata nel 2012 con Werner Dafeldecker. Tricoli è uno dei fiori all'occhiello della sperimentazione elettronica italiana: già nei 3/4HadBeenEliminated e collaboratore di gente come Bill Kouligas e Thomas Ankersmit, pubblica proprio in questi giorni il suo nuovo album Vixit (per Second Sleep), dedicato principalmente a riflessioni sull'intonarumori, strumento ideato nei primi anni del Ventesimo secolo dal futurista Luigi Russolo. Se vi siete persi in questo mare di nomi e non capite da dove arrivano non preoccupatevi, anche l'articolo è acusmatico.

pubblicato in origine su zero.eu